Secondo quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 9 della Legge n. 175 del 2021, con accordo da stipulare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome, sentiti il Comitato e il Centro nazionale per le malattie rare, è approvato, ogni tre anni, il Piano Nazionale per le Malattie Rare, con il quale sono definiti gli obiettivi e gli interventi pertinenti nel settore delle malattie rare. Lo scorso 10 luglio, la Direzione Generale della Programmazione del Ministero della Salute ha provveduto e presentato l’aggiornamento del Piano Nazionale delle Malattie Rare (PNMR) 2022-2024. Il precedente era ormai scaduto nel 2016. Questo secondo Piano, a contrario del precedente, è dotato di un finanziamento specifico pari a 50 milioni di euro: 25 milioni per il 2023 e i restanti 25 per il 2024.
Il PNMR rappresenta uno strumento di programmazione e pianificazione centrale, valido per i prossimi tre anni; una cornice comune degli obiettivi istituzionali da implementare, contenente una serie di indicazioni per l’attuazione e l’implementazione dei Livelli Essenziali di Assistenza.
Nel VII Rapporto Annuale di OSSFOR è stato pubblicato un approfondimento di Fortunato Nicoletti, Vicepresidente di Nessuno è escluso ODV aderente al Tavolo Tecnico dell’Alleanza Malattie Rare – AMR, che ha approfondito la lettura del Piano e analizzato quali sono i punti di forza dello stesso e quali invece non solo le criticità e le debolezze, ma anche le questioni ancora aperte, come per esempio la totale integrazione dei servizi sanitari, psicosociali e socioassistenziali.
Le prime due cose che in assoluto possiamo sottolineare sono:
- la mancanza di decreti attuativi;
- la terminologia usata in tutto il PNMR basata sui termini: assicurare, implementare, promuovere, migliorare, organizzare, prevedere, monitorare e altri, che destano una certa preoccupazione in quanto sia le azioni che gli strumenti ad oggi non permettono di intravedere quali iniziative di adeguata concretezza possano essere messe in campo per migliorare la vita delle persone.
È chiaro che dopo essere riusciti a ottenere una legge dedicata per le malattie rare, la 175/2021, per la quale dopo due anni dalla promulgazione mancano comunque quattro dei cinque decreti attuativi, l’emanazione del PNMR rappresenta uno strumento che potrebbe consentire davvero di arrivare a quella svolta che attendiamo da troppo tempo, ma crediamo che per arrivare a tale obiettivo bisogna avere più coraggio sia per quello che riguarda gli investimenti economici (25 milioni per ciascuno degli anni 2023-2024, rappresentano risorse largamente insufficienti), sia, soprattutto, riguardo alle inaccettabili disomogeneità territoriali che ad oggi rappresentano il più grande tema rispetto al quale questo PNMR non dà risposte soddisfacenti.
Come si può facilmente evincere il PNMR, sia rispetto allo screening neonatale che alla diagnosi, ai trattamenti farmacologici e non e ai percorsi assistenziali fa sempre riferimento all’oramai ancestrale DPCM del 12 gennaio 2017 e conseguentemente a LEA che necessariamente devono essere aggiornati e integrati ai nuovi LEPS, sulla scia di un bisogno di integrazione dei servizi che non è più possibile ignorare. Ricordiamo che ancora oggi i tempi medi per una corretta diagnosi di malattia rara si aggirano sui 4 anni circa e la riduzione drastica di tale tempistica, peraltro obiettivo di questo piano, non può non passare dalla implementazione dei centri di riferimento, che oggi sono ubicati per la stragrande maggioranza solo nelle regioni settentrionali, così come dal collegamento (oggi inesistente) tra i centri stessi e le strutture territoriali, con la conseguenza che per qualunque problema, anche facilmente risolvibile, le famiglie sono costrette a spostarsi di centinaia di chilometri.
Per quanto riguarda i trattamenti farmacologici importantissimo è al punto 3 l’obiettivo di dispensare senza oneri per i pazienti i farmaci in fascia C, off-label o non in commercio in Italia, quando siano prescritti dal centro di riferimento mediante PTI compreso del PDTAP. Anche in questo caso però la situazione attuale ci consegna una istantanea dove i PDTA rispetto alla patologia rappresentano una percentuale risibile e gli stessi piani terapeutici, essendo redatti solo da centri specifici di patologia, diventano spesso chimera per i pazienti. Rispetto alle tempistiche contenute negli indicatori, segnaliamo che le stesse sono eccessivamente lunghe.
Per quanto riguarda i trattamenti non farmacologici, che spesso, in mancanza di un farmaco specifico, ricordiamo essere una vera e propria “cura” che consente il mantenimento dello stato psico-fisico della persona e un percorso di vita che immagini un futuro, tra le azioni, poniamo particolare attenzione al punto 4, dove si tratta il tema della ridefinizione della ADI, delle cure palliative e della riabilitazione estensiva, in relazione alla specificità e alla complessità delle malattie rare. Ciò va proprio nella direzione che auspichiamo in quanto, se correttamente recepita dalle Regioni, consentirebbe di attivare prestazioni non più sulla base delle patologie come avviene oggi, ma relativamente ai bisogni individuali della persona. Non più lo stesso abito che in qualche modo “deve” vestire tutti, ma un abito cucito su misura per ogni caratteristica della persona stessa. Di contro, l’enorme rischio, anche in questo caso, potrebbe essere quello di ampliare ancora di più la sperequazione sul territorio nazionale in quanto, senza norme adeguate di garanzia, ci potrebbero essere (come tra l’altro già avviene) regioni dove potremmo avere atelier di vestiti sartoriali e tante altre con negozi di abiti dozzinali.
Quanto detto rispetto ai trattamenti non farmacologici vale allo stesso modo, e probabilmente anche in misura maggiore, per i percorsi assistenziali che, ad oggi, rappresentano essenzialmente due macro ambiti: il settingospedaliero e quello territoriale. Considerato che tali percorsi riguardano competenze di enti e amministrazioni diverse, non si parlano tra loro e la conseguenza è una presa in carico familiare, quindi non solo della persona con malattia rara, assolutamente inadeguata. Sotto questo punto di vista è necessario garantire alla persona con la malattia rara, con ogni norma possibile, ove possibile (spessissimo), che il luogo della erogazione delle cure, siano esse farmacologiche o no, piuttosto che percorsi assistenziali, sia quello del contesto domiciliare e familiare o comunque nei luoghi che consentano la socialità e l’acquisizione di competenze e conoscenze, primo fra tutti la scuola. Per fare tutto ciò è assolutamente necessario comprendere che non è possibile e nemmeno concepibile che nella definizione di qualunque tipo di progetto, sia completamente assente la famiglia, elemento che in questo PNMR non viene mai preso in considerazione, così come le associazioni di famigliari. Famiglie e associazioni spesso, se non sempre, sono completamente lasciate ai margini (esempio sono le UVM delle ASL-USL-ATS), anche se le competenze acquisite dalle stesse, attraverso lo studio e l’impegno, consentirebbero se prese in considerazione di non sprecare risorse né dal punto di vista economico che umano.
Per quanto concerne formazione e informazione, cogliamo con interesse gli obiettivi del piano, specificando che gli strumenti oggi a disposizione fanno sì che siano proprio le associazioni di pazienti e di famigliari che a svolgere un ruolo informativo essenziale. Con un’adeguata formazione, prevista al punto 5 degli obiettivi, le stesse diventerebbero una sorta di porto sicuro non solo per tutte le famiglie che all’improvviso si trovano di fronte a una diagnosi sconosciuta e inattesa, ma anche per l’intera società civile che, a causa della mancanza di una corretta comunicazione (spesso limitata al periodo della giornata mondiale e dunque sporadica e insufficiente), non ha la minima contezza di quanto sia complesso e a volte anche straordinario, il variegatissimo mondo delle malattie rare.
Come abbiamo anticipato nella parte inziale, è innegabile che nella redazione del nuovo PNMR ci sia un notevole sforzo, anche di innovazione, rispetto a obiettivi molto ambiziosi. È chiaro anche che la tempistica con la quale però in Italia vengono poi, per così dire, “messe a terra” le norme, non è più sostenibile. Anni solo per emanare decreti attuativi, spesso rendono già antiquata la legge che proprio quei decreti consentono di essere operativa. Questo, in casi come quelli che riguardano l’ampliamento del panel dello screening neonatale, solo per fare un esempio, può rappresentare la differenza tra avere la possibilità di vivere o la quasi certezza di morire, ma anche la possibilità o meno di essere precocemente “trattati”, di condurre una vita normale o quasi e pertanto di non diventare nemmeno una persona da dover assistere per decenni, con tutto quello che ciò significa in termini di spesa (in questo caso di investimento e risparmio) per l’economia di uno Stato.
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